Possiamo fare senza, ma senza non sarebbe lo stesso. (…) Sono i film di Natale che conosciamo a memoria e sappiamo che, così come fa l’omone in rosso,passeranno anche quest’anno.”
Il lungo elenco di un incipit solito che ci prepara all’articolo di Natale: si può passare per le canzoncine fino ad arrivare a pandori e panettoni, addobbi e menù, tombola e camino acceso. Tutto ok, siamo pronti.
Si punta molto sull’ambiente, lo chiamiamo clima apposta quello delle feste e, nel rituale necessariamente ripetitivo, difficilmente manca la luce soffusa di uno schermo… a volume basso, per non disturbare il chiacchiericcio. Potremmo fare senza, ma non sarebbe lo stesso.
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Perchè tra un boccone e una carta lanciata sui rimasugli della cinquina, con la coda dell’occhio aspettiamo qualcos’altro oltre Babbo Natale: sono i film che conosciamo a memoria (potremmo recitarli noi stessi) e sappiamo che, così come fa l’omone in rosso, passeranno anche quest’anno.
Non ci serve guardarli, basta fermare tutti giusto il tempo per la battuta topica, pronti come al bacio sotto il vischio, e poi continuare la serata mentre si spolvera il piatto e lo scatolone del prossimo gioco.
Basta poco, ma quel poco ci deve stare.
Now, I have a…
Die Hard – Trappola di Cristallo (Die Hard)
Bruce Willis interpreta John McClane, riadattamento della sua originaria controparte letteraria Joe Leland (ruolo che fu di Sinatra in “inchiesta pericolosa”), dal romanzo “Nulla è eterno, Joe” di Roderick Thorp.
Un gruppo di terroristi Tedeschi capitanati da Hans Gruber (il compianto Alan Rickman direttamente dal teatro al suo primo film) prende in ostaggio i dipendenti del Nakatomi Palace durante un party natalizio.
Toccherà a uno sboccato e malconcio poliziotto newyorkese in trasferta, rimasto solo contro tutti all’interno del palazzo, difendere ostaggi, moglie e matrimonio.
Duro a morire, John McClane, è un eroe con più di una macchia (siamo sulla ventina di canotte con 50 sfumature di zella per il reparto costumi, una di queste esposta allo Smithsonian) più di un graffio, poca paura ben celata da una efficacissima faccia da schiaffi e un campionario di battute che diventeranno un classico, un clichè e un must.
Ogni piano del grattacielo, che il protagonista si ritroverà a scalare, è un peso in più sulle sue spalle e ogni passo è un acciacco da aggiungere alla collezione di svantaggi contro un nemico già favorito in partenza.
Qualche trovata astuta, molti azzardi, un po’ di culo e un tiepido supporto via radio (qui, il buon Reginald VelJohnson condannato ma felice nel ruolo da poliziotto di quartiere) sono le uniche risorse a sua disposizione per completare l’opera e salvare il Natale (togliendo un HK94 e la beretta d’ordinanza). John McClane non è Rambo, né Jhon Wayne, ma più un tipo alla Roy Rogers.
Sì, perchè al di là delle spiegazioni più o meno plausibili sul come la pellicola possa considerarsi un tradizionale film natalizio, tra rimandi festivi e Santaclausiani “Ho Ho Ho”, alla fine, quando parte “Let it snow”, tutto è risolto:
I cattivi hanno quello che si meritano, Moglie e Marito sono finalmente riuniti e un bravo bobby ha fatto pace con i suoi demoni.
Alla fine non nevica su Los Angeles, ma sai che è Tempo di feste.
L’opera è come frutto di una congiunzione astrale; una serie di eventi che allinea perfettamente nomi e numeri dell’alchimia action: sceneggiatori di “Predator”, direttori della fotografia che saranno di “Speed”, alle direttive del regista di “Commando” tutti chiamati al palazzo di cristallo della 20th Century Fox (il Nakatomi stesso) per farne trappola e prova per l’eroe meritevole.
Mettici la scommessa rischiosa sull’attore sfavorito che, estraendo il titolo che gli spettava dalla roccia del filone di strongmen duri e maschi Hollywoodiani che vennero prima di lui (e che con sicurezza erano stati proposti per la parte), diventerà il volto del genere e un nuovo modo di concepire l’eroe: non senza un occhio al concetto più classico ma certamente più sporco.
Fanne una storia con meriti estetici e storici; un appagante racconto di battutacce strafottenti di sangue e di pallottole da custodire, magari, nella National Film Registry.
Non sembrerà improprio dire che Trappola di Cristallo sa di profezia avverata e, sicuro, odora di leggenda.
Titolo: Die Hard – Trappola di cristallo
Originale: Die Hard
Anno: 1988
Regia
John McTiernanCast
Bruce Willis, Alan Rickman, Paul GleasonTrama
John McClane, poliziotto di New York, ha intenzione di ricongiungersi con sua moglie, ma quando la festa di natale dell’azienda è interrotta da un gruppo di terroristi…Guardalo su
DVD/Blu-Ray (Collection), Netflix (Germania, usa una VPN!), Prime Video (noleggio)
Mentre fa da sottofondo: The Nakatomi Heist
Gioco di società asimmetrico, che porta i giocatori a coprire le controparti del film. Da un lato lo svantaggiato John e dall’altro i suoi antagonisti, per ripercorrere il sentiero dell’eroe sui doloranti passi o sovvertire il finale di una storia già scritta.
Una poltrona per due (Trading Places)
Overture da “Il barbiere di Siviglia” e scorci di Philadelphia.
Neve e luminarie in contrasto con pioggia e smog; arancia spremuta di fresco (importante anticipazione) e croissant.
Poi, subito stacco sulla mensa dei poveri. Dirigenti indaffarati da una parte, operai in un’altra.
A osservare il tutto ci sono padri fondatori, Il pensatore, la statua di Rocky: già tutte le forze in gioco della vicenda (l’America, la società, i simboli) sono schierate e si intuisce subito uno spirito cinico di fondo.
Poi, la colazione è pronta.
Louis Winthorpe III è uno dei due sulla poltrona del titolo: vagamente snob e talentuoso agente di cambio presso la Duke&Duke gestita dai Fratelli Mortimer e Randolph.
L’altro è Billy Ray Valentine, un clochard ballista dalla favella facile.
Un incontro accidentale tra i protagonisti diventerà spunto per un crudele divertissement dei facoltosissimi fratelli Duke che, per creare le condizioni di una scommessa (è l’ambiente a fare l’uomo o le doti naturali?), screditeranno Louis buttandolo in strada offrendo il posto così vacante a Billy Ray.
Prima che i due si scornino, realizzino il gioco sulle loro teste e facciano coppia, il film indugia funzionalmente sulle loro vite.
John Landis, il regista, non si limita a scambiare i posti ma ne segue parallelamente le rispettive trasformazioni fornendo loro un punto di vista maggiormente critico verso il mondo che si sono lasciati alle spalle e quello che stanno vivendo.
Riconoscendoli prima, disconoscono poi, come loro eguali, i ruffiani e gli arrivisti i falsi e i superficiali, a seconda dei casi.
Il Natale serve alla trama e fa da ironico contrasto.
I toni della commedia, sempre presenti, non sono un escamotage per inserire una morale di fondo, ma il modo più naturale di adeguarci alla bussola morale del film, che è poi anche la nostra:
Non è uno scontro tra ricchi e poveri e nessuna delle due fazioni è favorita. Alla fine stiamo con il Maggiordomo, maschera del mondo altolocato, che, pur redento, uno zampino ce l’ha messo ;stiamo con la prostituta, emblema dei bassifondi, che in fondo qualcosa a cui porre rimedio ce l’aveva; fin dall’inizio stiamo con Louis e Billy Ray che la vendetta se la sono presa con aggiunta di carico da 90.
Alla fine, senza fare etica, stiamo con i buoni.
Un film divertente, da un regista che muove accoppiate storiche (due con Aykroyd), ma che non rinuncia alla soluzione cinica dei suoi intenti né la mena troppo con una morale su cui riflettere (che pur si può ampiamente fare) in un’opera non propriamente natalizia ma che ogni anno, dal 1997, aspettiamo per la vigilia come parte di una tradizione consolidata.
Titolo: Una poltrona per due
Originale: Trading places
Anno: 1983
Regia
John LandisCast
Eddie Murphy, Dan Aykroyd, Ralph BellamyTrama
Un agente di cambio snob e un senza tetto sono costretti a scambiarsi i ruoli per la scommessa di due cinici milionari…Guardalo su
Mentre fa da sottofondo: Speculation
Simula con la giusta leggerezza i meccanismi della borsa in una partitella che può tranquillamente ricreare le fasi finali del film in una dimensione più domenstica.
In alternativa, che diavolo, potete dare sfogo a cinismo, cupidigia e freddezza finanziaria con un ben collaudato Monopoly: ce ne dovrebbe stare uno in versione Philadelphia.
Mamma ho perso l’aereo (Home Alone)
Ci troviamo in mezzo ai McCallister, famiglia riunita e prossima alla partenza per le feste.
Tra zii burberi, fratelli bulli, cuginetti fastidiosi e genitori indaffarati, il tipico fermento delle feste diventa per Kevin, il piccoletto di mezzo, fonte di frustrazione. Tale da desiderare che tutti spariscano.
Funziona: per caso e distrazione (più un piccolo vicino rompiballe), la famiglia parte lasciando Macaulay Culkin da solo a casa.
Quest’ultimo, oltre a segnare l’inizio del suo percorso personale di presenza insistente in film meno proficui, attraverserà a modo suo le fasi dell’abbandono festeggiando, gozzovigliando con porcate sul divano in barba alle regole di casa e cavandosela (abbastanza bene) fino alla realizzazione di una verità innegabile: la famiglia poi ti manca, soprattutto a Natale.
Nel pieno di una trama che poteva già funzionare così, irrompono due malviventi che, approfittando dell’esodo festivo e ignari della presenza del bambino, decidono di svaligiare casa.
Toccherà a Kevin, non privo di astuzia e ingegno, improvvisare e improvvisarsi antifurto attraverso un capillare piano controffensivo pompato da massicce dosi di sospensione della credulità e sfocianti nel più classico (e collaudato, giusto dirlo) slapstick cartoonesco.
Forse non ce n’era bisogno ma Mamma ho perso l’aereo, curiosamente, è proprio questo.
Il suo punto più basso (più terra terra, dico) è proprio il suo tratto distintivo senza il quale non ci piacerebbe allo stesso modo. Come togliere il sopracciglio a Frida, il neo a Marylin o Joe Pesci a questo film.
Di Mamma ho perso l’aereo si può parlare male: il numero di assist che offre a tiri parodistici è quasi avvilente per chi volesse cimentarsi oggi e provarci è poco più che un esercizio che lascia, al di là di qualche sorriso condiviso da tutti, tanto tempo quanto ne trova.
Un po’ come quando si fa umorismo sulle assurdità di Holly & Benji.
La verità è che è un gioiellino di bigiotteria ben confezionato per essere visto da tutta la famiglia, bimbi davanti a fare da baricentro ben segnato dalla lunga parentesi al sapor di Looney Tunes di cui sopra.
Mentre procede nel finale, a tutti gli spettatori è stato dato spazio e sfogo, tutti hanno avuto le loro ragioni e tutti hanno fatto un passo indietro in tempo per una conciliante foto delle feste sul divano.
Nella lunga e fastidiosa lista di film con piccole pesti e bambinesche minacce, qui si conserva un carattere ben solido e un buon ricordo dovuto, certo, anche a un paio di personaggi positivi (un saluto a John Candy), che offrono voci più miti alle due controparti principali: grandi e piccoli.
Qui capitanati da una mamma e suo figlio.
Il resto sicuramente è riempitivo, distrazione e pretesto per far andare la trama dove si vuole senza troppe finezze ma, alla fine, riguardandolo di anno in anno, possiamo dire che lo sappiamo… ma non ci interessa.
Come fossimo tra McCallister, al di là dei difetti pur insopportabili, aiutati forse dall’aria di Natale, ci si vuole bene.
Titolo: Mamma ho perso l’aereo
Originale: Home Alone
Anno: 1990
Regia
Chris ColumbusCast
Macaulay Culkin, Joe Pesci, Daniel SternTrama
Un bambino di otto anni, rimasto a casa da solo durante le vacanze di Natale, deve proteggere la residenza da una coppia di ladri…Guardalo su
Mentre Fa da sottofondo: Home Alone Board game.
Uno contro tutti: siate Kevin o i ladri che irrompono in casa McCallister per giocare d’astuzia seminando trappole o evitandole per arraffare il bottino.
Pance piene e bottiglie vuote e due monete in più, giusto in tempo per i pacchi.
Non mi restano che gli Auguri.
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